di Attilio Bolzoni e Paolo Santolini, Italia 2012
Proiezioni per studenti: Mercoledì 21 novembre alle ore 9.00 in Casa della Conoscenza
Il film sarà proiettata sabato 24 novembre alle ore 21.00
"Chi ha paura sogna, chi ha paura ama, chi ha paura piange. Io come tutti ho paura. Ma non sono vigliacco, altrimenti me ne sarei già andato". Antonio Montinaro sapeva di rischiare scortando Giovanni Falcone. Il 23 maggio 1992 anche lui è morto a bordo della Fiat Croma che esplose a Capaci. Non ha mai mollato, cosà come non lo hanno mai fatto tutti quei magistrati, giornalisti e agenti di Polizia che hanno sacrificato la propria vita in nome della lotta alla mafia. Facili bersagli perché lasciati da soli a combattere. Uomini isolati e per bene, come lo erano il segretario del partito comunista italiano della Sicilia Pio La Torre, assassinato il 30 aprile 1982; Carlo Alberto dalla Chiesa, generale dei carabinieri e prefetto ammazzato il 3 settembre 1982; Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, giudici saltati in aria il 23 maggio e il 19 luglio del 1992.
Il viaggio del cronista, che per trent'anni ha raccontato la Sicilia e la sua mafia, parte dal quadrilatero dei cadaveri eccellenti. Da quelle strade della Città mattatoio dove, nei primi anni Ottanta, persero la vita Calogero Zucchetto, l'agente della mobile di Palermo che 'cacciava' latitanti, il magistrato antimafia Rocco Chinnici, Piersanti Mattarella, allora presidente della Regione Sicilia. I quotidiani di quei giorni titolavano "Palermo come Beirut". Ma, secondo Bolzoni, era peggio di Beirut. "Ricordo i luoghi, gli odori, le facce. Sono cose che non ho mai dimenticato. Palermo mi ha lasciato delle cicatrici. E non c'è anestesia che lenisca il dolore".
Dove c'erano i morti, ora ci sono le lapidi e le croci. Un cimitero a cielo aperto dove i drammi privati sono diventati pubblici. Pio La Torre, Carlo Alberto dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano quattro italiani fuori posto. Personaggi veri per un'Italia fatta di trame, di egoismi e di convenienze. Quattro persone che facevano paura al potere. Troppo diversi e soli per avere un'altra sorte. Bolzoni lascia da parte le date, le carte dei tribunali e le sentenze. Racconta questi uomini per bene attraverso le voci degli amici, dei colleghi, dei familiari, e di tutti quelli che hanno lavorato al loro fianco. Restituisce cosà un'istantanea di quegli anni in un film empatico e mai retorico. E fa rivivere i protagonisti raccontando il dolore di chi era al loro fianco.
(Fonte Libera.it)
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