Sabato 28 novembre ore 21.00
Casa della Conoscenza
Ce ne ricorderemo di questo maestro
Tributo a Leonardo Sciascia a vent’anni dalla scomparsa
Reading in musica a cura di
Elisa Dorso e
Ilaria Neppi
Interventi musicali di
Carlo Lojodice e
Guido Sodo
con la partecipazione straordinaria di
Rita Botto
Letture di:
Bruno Cappagli,
Michele Collina,
Alfonso Cuccurullo,
Giacomo Gensini,
Claudio Gioè,
Carlo Lucarelli,
Bruno Morchio,
Simona Mammano e altri…
Un ricordo in musica e parole di un maestro del politicamente scorretto: Leonardo Sciascia.
Autore di gialli anomali, senza soluzione, come troppe vicende italiane, acuto polemista contro gli abusi del potere, conoscitore profondo dei tanti volti della mafia.
«La mafia è una associazione a delinquere, con fini di illecito arricchimento per i propri associati, che si pone come intermediazione parassitaria imposta con mezzi di violenza fra la proprietà ed il lavoro, tra la produzione ed il consumo, tra il cittadino e lo Stato.» Così l'On. Leonardo Sciascia si esprimeva nella seduta del 26 febbraio 1980 alla Camera dei Deputati.
Leonardo Sciascia nacque a Racalmuto (Agrigento) l'8 gennaio del 1921 e ci lasciò, piuttosto orfani, il 20 novembre 1989. Conseguito il diploma magistrale, iniziò ad insegnare nelle scuole elementari.
«Non amo la scuola; e mi disgustano coloro che, standone fuori, esaltano le gioie e i meriti di un simile lavoro. [...] Qui, in un remoto paese della Sicilia, entro nell'aula scolastica con lo stesso animo dello zolfataro che scende nelle oscure gallerie». («Le parrocchie di Regalpetra», 1956).
Senonché è proprio questo che Sciascia ha fatto per il resto della vita: entrare nelle oscure gallerie della società siciliana e della politica nazionale, illuminandole con la luce della ragione.
La sua classificazione della società umana, comprendente « gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i [...] pigliainculo e i quaquaraquà», fatta pronunciare a un mafioso, ma proprio perché i non mafiosi ci meditino sopra, gli è rimasta tatuata addosso; così come a lui è rimasta legata la definizione di «professionisti dell'antimafia», in un articolo da lui effettivamente scritto, ma con un titolo redazionale di cui Sciascia ha disconosciuto la paternità. Ce n'è abbastanza per riconoscere in questo autore una complessità analoga a quella che ha caratterizzato Pierpaolo Pasolini; autori, entrambi, che non si sono sottratti ai rischi della contraddizione, ma l'hanno praticata in positivo.
«Fraterno e lontano, Pasolini per me. Di una fraternità senza confidenza, schermata di pudori e, credo, di reciproche insofferenze» («L'affaire Moro», 1978).
Allo studioso e poeta francese Martin Rueff, ci permettiamo di rubare le parole di una sua recente apostrofe a Pasolini (Libération, 17 sett. 2009), poiché adattissime anche a Leonardo Sciascia.
«Ci manchi, Sciascia; ci mancano la tua capacità di diagnosi e di denuncia, il tuo senso delle continuità e delle discontinuità, la tua forza d'urto e il tuo genio. Tu ci manchi perché ci manca la tua indignazione; perché l'Italia va male e non ci si indigna abbastanza».